Stefano Pastor, vincitore di prestigiosi riconoscimenti internazionali dovuti a una indubbia maestria strumentale, ha presentato in concerto alcuni classici di Chet Baker, accostandosi al seminale trombettista americano senza rinunciare a una rilettura personale.
Durante il primo Torino Jazz Festival Pastor era stato anche protagonista, insieme alla cantante Roberta Gambarini, di un simpatico fuori programma.
Nella prima edizione del TJF hai partecipato a una jam session finale con i Buena Vista Italian Jazz (Franco Cerri, Renato Sellani, Dino Piana, Gianni Cazzola, Luciano Milanese), i nostri “senatori” dello swing. Puoi regalarci un ricordo?
E’stata una grande emozione aver avuto l’occasione di suonare con chi ha fatto la storia del jazz in Italia, una sfida per chi è più giovane, come me, tentare di suonare in uno stile adeguato alla loro eleganza. E poi sono persone straordinarie anche dal punto di vista umano, ognuno con la propria
personalità: Cerri, Sellani, Piana, Cazzola, Milanese hanno saputo mettermi a mio agio facendomi sentire accettato. Ripeto: è stato un piacere!
Da dove nasce l’idea di trasporre al violino (e di cantare!) i brani di Chet?
Ho pubblicato nel 2009 un CD in solo, Chants, dove mi ero preso la libertà di cantare, pensando a voci delicate e intimiste quali quelle di Eliane Elias, Caetano Veloso e naturalmente Chet Baker. Voci che sentivo particolarmente vicine al mio mondo espressivo. Molti critici, in Europa e in America, incoraggiarono quell’esperimento accostando spesso la mia vocalità a quella di Chet. Decisi cosi di cominciare a cantare anche dal vivo e cominciai a pensare ad un progetto che si ispirasse alle atmosfere bakeriane, in considerazione anche della somiglianza del mio violino più ad uno strumento a fiato che ad uno ad arco.
Del resto hai un approccio al violino decisamente sperimentale, lontano dagli stereotipi dello strumento…
Dopo aver lavorato tanto sugli strumenti a fiato per far tendere il violino verso quei grandi musicisti dell’era bop che amo, avendolo quindi trasfigurato, ho tentato in Song (Slam Productions 2012) di imitare stili chitarristici, organistici e di altri strumenti ancora. Dal punto di vista timbrico ho esplorato una enorme quantità di territori. Probabilmente mi imbatterò in nuove strade ma continuando ad “essere” principalmente sax o tromba, dando sostanza ad un violino tipicamente bop come mai si era sentito nella storia del jazz proprio perché, se andiamo a vedere, i violinisti di questo genere musicale si collocano tutti tra lo stile pre-bop e quello post-bop. Io invece tento di recuperare quel linguaggio, guardando al futuro naturalmente, adattandolo al violino e, per questo, ho sentito di dover inventare un nuovo timbro e un nuovo modo di pensare e suonare.